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L'amore accogliente, criterio di giudizio sull'esistenza 

"Ero straniero e mi avete accolto" 

L’importanza vitale dell’accoglienza, rivelata dallo stile di Gesù (vedi n. precedente), risulta decisiva nella prospettiva del destino dell’uomo. La salvezza non è data dall’essere o non essere cristiani, dall’essere o non essere credenti, ma solo dall’accoglienza: accoglienza dello straniero, dell’altro, di ogni altro che è sempre l’Altro: «ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25, 35). Il giudizio favorevole non è per chi ha fede capace di trasportare le montagne, né di chi si fa bruciare per i poveri, né di chi ha tutta la scienza…, ma è per chi ama, con amore accogliente aperto a tutti (cf 1 Cor 13). La grande parabola del giudizio finale (cf Mt 25, 31-46) è proprio insegnamento sull’amore accogliente come criterio decisivo di una vita umana riuscita. Gesù stesso si identifica con chi ha bisogno, e siamo tutti bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati, emarginati, vecchi, soli… (ci sono anche le povertà e precarietà a prima vista insospettabili); accogliendo chi ha bisogno, si accoglie Gesù. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25, 40).  Amore di Dio e amore del prossimo nel Vangelo si fondono insieme: nel più piccolo, accolto con amore, incontriamo Gesù stesso e incontrando Gesù incontriamo Dio. Perciò accogliere l’altro o no significa accogliere o no la salvezza.  La verità fondamentale del Vangelo è che il rapporto dell’uomo con il Figlio dell’uomo si gioca nel rapporto tra uomo e uomo. 

L’accoglienza è fondamentale per il Regno, per un autentico rapporto con Dio, in questa riconosciuta relazione col prossimo. La ragione teologica e antropologica di questa logica salvifica dell’amore che accoglie l’altro/Altro sta nel fatto che Dio facendosi umano in Gesù di Nazareth si è unito a ogni persona umana, si è fatto nostro prossimo, ha bisogno di essere accolto per accoglierci. Maria, l’abbiamo già accennato, è icona dell’accoglienza di Dio: l’ha accolto nel suo vero corpo, e così ha permesso a Dio di accoglierci nel nostro vero corpo. L’accoglienza ha quindi una motivazione cristologica prima che etica, come ha ben compreso Francesco nel riconoscere nell’altro il Signore. Non accogliere l’altro significa la morte, sia per chi non è accolto (venendo da una situazione di ‘mancanza di vita’, cerca accoglienza e aiuto) sia per chi non accoglie. Chi rifiuta di accogliere, ossia di ‘dare vita’ agli altri, toglie vita all’altro, ma la toglie anche a se stesso.  Si ha paura dell’altro, specialmente se è straniero, perché si pensa che ci possa ‘togliere’ qualcosa; tanto che, da hospes (com’è, e come siamo tutti l’uno per l’altro), diventa hostis, nemico da cui difendersi, nemico che si può offendere. In realtà è l’accoglienza dell’altro (straniero, affamato, …) ciò che arricchisce la vita. Una verità cristologica - e pertanto profondamente antropologica - è che noi ‘diventiamo’ le persone che accogliamo. Ogni persona che accogliamo è quello che ci mancava per realizzare noi stessi. Quindi, ogni persona che incontriamo e accogliamo è come un dono del Signore, per rendere più bella e autentica la nostra esistenza. Non è questa la ragione che spinge Francesco d’Assisi ad accogliere, riconoscendo nell’altro, in ogni altro, un dono che rende concretamente bella e vera la fraternità?

Non è forse vero che nel Vangelo quasi tutti gli stranieri sono figure positive, spesso proposte come esempio? Sono loro che comprendono e accolgono Gesù, sono loro, come Simone il cireneo, che portano la croce di Gesù, sono i samaritani - il popolo eretico, infedele, etnicamente spurio, a scoprire in Gesù il salvatore del mondo; prima ancora, è una donna samaritana che per prima capisce la qualità del messaggio di Gesù e lo riconosce come inviato di Dio.  Gesù, a chi non lo accoglie come straniero (“Ero straniero e non mi avete accolto”) rivolge parole tremende: «Andate via, maledetti». Ma, mentre agli altri Gesù ha detto «Venite, benedetti dal Padre mio», perché Dio è amore e benedice, a questi dice «andate via, maledetti»; non però «Andate via maledetti dal Padre mio», perché il Padre non maledice nessuno. Sono le persone che si sono male-dette (dette male): chi non accoglie non si dice, non dice se stesso come gli esseri umani dovrebbero dirsi secondo la logica e la dinamica veritativa dell’accoglienza (accolti accogliamo). Chi rifiuta di dare vita all’altro accogliendo, toglie vita all’altro, ma anche a se stesso. 

Ecco perché l’accoglienza aperta o negata è il vero banco di prova per l’autentica spiritualità evangelica. Non c’è niente di più estraneo al Vangelo dell’isolamento nel misticismo e dell’indifferenza verso chiunque sia ‘malcapitato’ e ‘giacente sul ciglio della strada’, per riprendere l’immagine di Luca nella parabola del buon samaritano.  È autenticamente spirituale - cioè, illuminato dallo Spirito che è amore -, farsi presenza e prossimità accogliente. La valutazione della nostra vita converge sulla prassi d’amore verso il bisogno dell’altro. La novità originaria e originale del Vangelo è che, nel contatto reale e pratico con questi bisogni, si attua (o non si attua) il nostro contatto con il Cristo, l’inviato del Padre.  

L’accoglienza che Gesù testimonia e insegna appartiene alla struttura umana, ed è esperienza di umanità: è la pratica dell’accoglienza che ci umanizza, in quella misteriosa danza del dare e del ricevere che è propria dell’humanum. Si tratta di accogliere e riconoscere l’altro «senza il quale vivere non è più vivere» (M. de Certeau). È questa la via di accesso e la porta dell’incontro con il Signore stesso che si può accogliere o respingere, riconoscere o misconoscere. Praticando l’accoglienza, dice la Lettera agli Ebrei, accade che Abramo, «senza saperlo, ha accolto degli angeli» (Eb 13, 2); si aprono nuovi orizzonti di senso e di significato. Al cuore dell’accoglienza, che apre all’eternità, sta l’amore nella sua struttura e dinamica pasquale. L’accoglienza verifica la nostra esistenza pasquale: chi ama accoglie, chi accoglie passa dalla morte alla vita (cf 1 Gv 3,14). Ciò che facciamo avrà senso pieno solo in prospettiva di eternità, intesa come passaggio dalla morte alla vita. L’accoglienza grata e gratuita è già eternità, ma non ancora in pienezza di comunione. È vero che Dio ci accoglie così come siamo ma ci chiede di accoglierci reciprocamente, di convertirci e credere al Vangelo dell’accoglienza.  Accogliere (“ad-cum-legere”) è “raccogliere insieme verso”, camminare ‘insieme’ verso la stessa meta condivisa. Il giudizio finale sarà rivelazione del nostro amore accogliente. È questa la posta in gioco nella nostra prassi di accogliere o non accogliere, come l’apostolo Paolo ha sintetizzato mirabilmente: “Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio” (Rm 15,7). Noi diamo gloria a Dio con la nostra capacità di accoglierci a vicenda, a immagine dello stile vissuto e insegnato da Gesù, fatto proprio da Francesco. Nulla di più semplice, nulla di più esigente. Lo vedremo nel prossimo numero parlando dell’accoglienza umana e cristiana. 

 

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